Interrail

«Mira, mira la puta que abla.»
Il barbone indicava la fighetta australiana parlando fitto con il suo vicino di cartone. Lei civettava con il tedesco della foresta nera, ridacchiavano ad alta voce eccitati dalla pioggia che frustava la notte di San Sebastian. «Puta, puah.» Forse il barbone, di Cervantes, conosceva solo quel suo personaggio. "Sandeces", avrebbe detto tra le gengive. Oppure ne sapeva ogni singola parola da credere di dover seguire le gesta del Quijote, arrivando fin lì da Granada la gitana. Troppe cicatrici, il suo viso, per trovarne l’inizio o una fine, pochi denti nella bocca per seguirne la sequenza. Gli era bastata un’occhiata per trovare il posto più asciutto, l’angolo più lontano dal muro di pioggia. Per lui libertà non era solo un esercizio di mente, una lettura da liceo, un commuoversi davanti alle parole. Ma strade da battere e selciati su cui dormire. «Dormir, quieremos dormir aqui, puta!» gridò all'australiana, provocante creatura giunta in Spagna per cercare la grande onda. A lei interessava salire sul suo surf e magari cavalcare il tedesco del sud, quella notte. Due sipari di capelli e labbra che brillavano al buio, studiava per diventare medico. «Flying doctor australiano» sentimmo tutti quando lo disse. Ma allora non pensai che con buona probabilità sarebbe finita a prescrivere farmaci in cambio di viaggi premio su spiagge battute da grandi onde o di bustarelle al posto del bugiardino. Per il momento decise di andarsene altrove con il suo tedesco del Baden-Württember. Gli zaini e i sacchi a pelo, sparirono oltre la parete di pioggia. Lui seguì il suo culo con quella faccia che fanno i tedeschi quando prefigurano un evento speciale: la stessa faccia di ogni momento della loro giornata.
Eravamo a San Sebastian da poche ore, arrivati con l'ultimo treno dall'Oceano francese. La pioggia ci aveva impedito di sistemarci in spiaggia per la notte e un poliziotto bastardo aveva preso a calci i nostri sacchi a pelo stesi sul pavimento della stazione. Al Quijote interessava la terra brulla della Mancia, da qualche parte si doveva pur cominciare per ristabilire la giustizia. In terra basca, che la formosa austrialiana se ne fosse andata a fottere altrove, era già un buon risultato per qualunque avventuriero pre o post-romantico che sia. Il barbone poteva considerarsi soddisfatto. Se ne stava arrotolato nelle sue coperte scure, la testa sollevata contro la borsa della spesa, gli occhi semichiusi a spiare l’umidità dell’aria. Ancora una volta lo vidi sollevare le palpebre e arricciare il naso. Ci guardò col disprezzo che grondava dagli occhi acquosi, mentre affondavamo la testa dentro la lampo, assolutamente silenziosi e in cerca di sonno. Poi più nulla.
Dormimmo fino alle prime luci del giorno, la pioggia che picchiava sull'unica tettoia sotto cui dormire in San Sebastian nelle notti piovose. Sognai ancora il treno, quella notte, ricapitolai dormendo il nostro viaggio fin lì, le canne olandesi, la birra belga e le ragazze francesi. Ci svegliammo che i barboni non c'erano più. Solo tre pareti di graffiti europei intorno e una luce di buona giornata. Aveva smesso di piovere, finalmente. Ripartimmo con gli zaini in spalla per cercare il colore che ha il cielo dell'alba ai confini col mare. Con la certezza che mai più ci saremmo sentiti liberi come in quel momento.

1 commento:

Sonia ha detto...

... pensavo ci fosse un seguito, la libertà di quel momento non mi è bastata.